Fragmenta
Elisabeth Scherffig, Felix Schramm, Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Simona Andrioletti a cura di Gaspare Luigi Marcone e Maria Villa
Fragmenta, 2024, installation view@RIBOT
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Inaugurazione:
22 maggio 2024
mer: 18:00 – 21:00
Mostra:
22 maggio – 12 luglio 2024
lun, mar, mer, gio, ven: 15:00 – 19:30
Comunicato stampa

FRAGMENTA

 

Elisabeth Scherffig, Felix Schramm,

Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Simona Andrioletti

 

a cura di Gaspare Luigi Marcone e Maria Villa

 

22 maggio - 12 luglio 2024

 

 

RIBOT è lieta di presentare Fragmenta la prima mostra collettiva ospitata in galleria. Un progetto che include Elisabeth Scherffig (Düsseldorf, 1949; vive e lavora a Milano), Felix Schramm (Amburgo, 1970; vive e lavora a Düsseldorf), Stefano Comensoli_Nicolò Colciago (Milano, 1990, Garbagnate Milanese, 1988; vivono e lavorano a Milano); Simona Andrioletti (Bergamo, 1990; vive e lavora a Monaco di Baviera e Milano).

 

Fragmenta pone in dialogo i lavori di un gruppo selezionato di artisti di diverse generazioni la cui ricerca si sviluppa sia intorno all’idea di recupero e rielaborazione in chiave operativa e concettuale di “reperti” contemporanei e scarti abbandonati, sia sull’iconografia del “detrito” e della “maceria” intesi come simbolo di precarietà, ma anche di trasformazione e metamorfosi. In quest’ottica il tema del “frammento” assume un valore primario. Questo diviene elemento fenomenologico caratterizzante le opere e allo stesso tempo componente iniziale da cui far germinare una nuova e inedita unitarietà. Il processo additivo del segno o del gesto – oltre che dei “materiali” – è la costante da ritrovarsi in ciascuno dei lavori esposti ed è strumento funzionale alla rappresentazione di un’immagine in bilico tra costruzione e distruzione. L’atto compositivo che si genera dalla giustapposizione e rielaborazione di frammenti o detriti pre-esistenti, rimanda a un’idea ciclica del tempo e della memoria, a una riattivazione semantica e concettuale della materia e della storia.

 

Confrontandosi con l’architettura e con la morfologia dello spazio espositivo, dove le grandi vetrine del piano terra sono soglie sottili tra interno ed esterno, le opere esposte in questo primo ambiente restituiscono l’atmosfera di un “cantiere” (creativo, culturale, sociale), un grande laboratorio corale in fermento. Transitando dal piano terra al piano sottostante, più raccolto e caratterizzato da un’atmosfera quasi underground, l’immagine, il processo, il residuo e la parola si raddensano e si stratificano in un perimetro più contenuto che propone tecniche, processi e linguaggi alternativi con sguardi sia privati sia militanti.

 

Il grande disegno Senza titolo (2006) di Elisabeth Scherffig è un lavoro emblematico della sua ricerca. L’artista interpreta la città – con i suoi cantieri e i suoi spazi architettonici – come organismo vivente in perpetua trasformazione. Scenari e paesaggi urbani ricchi di elementi edili, ferraglie, detriti, rifiuti – organici e inorganici – vengono trasfigurati dall’azione creativa dell’artista. Elisabeth Scherffig – dopo spunti e appunti fotografici – procede con segni e gesti secchi, incisivi, frammentari e pulviscolari, il pastello diviene quasi un bisturi con il quale ferire la superficie della carta. Questa prassi – che potrebbe rievocare una sorta di “divisionismo” sui generis – pone in equilibrio forme, immagini e soggetti. Il lavoro sembra sempre in bilico tra distruzione e costruzione bloccando il divenire dell’agire umano e del tempo. L’immagine ferma e congelata si apre però a sinestesie e interazioni: emergono, concettualmente, il rumore e la polvere del cantiere, gli odori e i pericoli dei detriti, il lavoro invade lo spazio fisico e percettivo dell’osservatore. Flâneur instancabile, curiosa e sensibile, Elisabeth Scherffig ha indagato anche altri elementi e scenari muovendosi da un’analisi quasi scientifica e tassonomica di varie tipologie di vetri (frantumati, appannati, smerigliati, artistici o industriali) all’esplorazione di cave sparse per l’Europa con un ricco inventario di pietre, sassi, macigni. Anche questi soggetti sono a loro volta frammenti naturali o antropici che possono essere osservati e catalogati con spirito “analitico” o vena “paesaggistica”.

 

Nel lavoro di Felix Schramm vi è la messa in crisi della continuità dello spazio espositivo; l’artista con la sua pratica interroga i limiti dei generi artistici e dell’architettura. Le sue opere sono cortocircuiti sensoriali che si costituiscono mediante l’accumulo e la sovrapposizione di strati, elementi e frammenti. Il grande Multilayer (2019) esposto al piano terra è un’opera giocata su un attentissimo equilibrio tra pieni e vuoti che si determina attraverso un gesto contraddittorio, un gesto che distruggendo crea. Schramm interviene sullo strato più esterno dell’opera, il cartongesso dipinto, che si mimetizza con il muro della galleria stessa, rompendone la continuità e facendo emergere gli strati sottostanti ottenuti ancora attraverso la sovrapposizione di frammenti di fotografie scattate alle sue stesse installazioni e caratterizzate da colori accesi e talvolta “acidi”. Un processo di svelamento ove attraverso la decostruzione si generano nuove immagini che rimandano all’idea di una forma in continuo divenire e assumono anche un valore pittorico. Il lavoro della serie Dark Site (2019), al piano inferiore, indaga e approfondisce ancor di più il tema del recupero e della rielaborazione. Quest’opera dall’aspetto cinereo e cangiante è generata dalla raccolta di polvere e avanzi, tracce più o meno evidenti dei processi di lavoro dello stesso artista. Questi “reperti” personali sono successivamente ricoperti da foglia d’argento e trattenuti in teche di plexiglass così da celebrare la dinamica della ricerca che si evolve, si costruisce e si rigenera ogni volta.

 

Stefano Comensoli_Nicolò Colciago fanno della raccolta e della rielaborazione di elementi trovati in contesti urbani o di abbandono la loro cifra caratteristica. Oppongono all’inesorabile processo di deterioramento della materia un atto di cura che restituisce un nuovo aspetto e una nuova possibilità di esistenza. Per Fragmenta propongono un grande intervento concepito appositamente per gli spazi della galleria e che si adegua al suo perimetro. Un lavoro che appartiene alla serie Visioni di un oltre, avviata nel 2019, ma che nell’ultimo anno ha acquisito una componente ambientale inedita, volta a indagare e mettere in discussione ancora di più il rapporto tra opera e spazio. Le porzioni di pavimentazioni in linoleum prelevate in un edificio in rovina divengono la sostanza della grande installazione realizzata sul muro di fondo dell’ambiente espositivo. La giustapposizione di frammenti ripuliti e intagliati, dove ciò che vediamo è il retro della piastrella in linoleum, appare come un grande mosaico o come una grande pittura murale. Le tracce di colla e cemento, originariamente necessarie all’applicazione del pavimento, sono sintomo di un ribaltamento che altera la percezione, nobilita il gesto e trasporta uno spazio dentro l’altro. A fare da contraltare alla monumentalità di questo progetto saranno i lavori inediti della serie Fiori fuori posto (2024), composizioni in equilibrio tra pieni e vuoti determinate dall’azione di un laser che agisce su fotografie deteriorate e ritrovate in una vecchia fabbrica in disuso. Un processo quasi scultoreo “a levare” che rivela e segue la traccia di una seconda fotografia scattata oggi nello stesso contesto dagli artisti. Un processo materiale e concettuale dove il deterioramento, il dissolversi dell’immagine è un atto ricercato che assume una qualità estetica.

 

La ricerca multimediale di Simona Andrioletti indaga e interpreta fenomeni sociali e culturali della contemporaneità e del recente passato. Molti suoi lavori si potrebbero definire “verbo-visuali” per molteplici aspetti: la composizione visiva delle immagini e delle parole che strutturano l’opera, l’uso di brani musicali che scolpiscono lo spazio con il suono, la collaborazione con performer e cantanti durante alcuni suoi progetti. Il ciclo dei lavori più recenti intitolato Text me when you get home <3 (2023-2024) sintetizza molti aspetti della sua ricerca. L’artista, partendo dall’estetica e dal concetto delle fanzine – pubblicazioni indipendenti economiche ed ecumeniche – ha prodotto una serie di “coperte” in lana merinos dove frammenti di immagini della storia culturale e dell’arte si accostano a frasi relative alla violenza sociale e sessuale. La potenza dei soggetti e dei messaggi contrasta, armonizzandosi, al senso di calore e morbidezza dell’“oggetto-coperta”. La coerenza di questo ciclo di lavori è data anche dalla tipologia di produzione visto che le coperte sono certificate come mulesing-free e RWS da ICEA (Istituto di certificazione etica e ambientale). I lavori della serie Fix Me (2017-2024) sono composti da vere e proprie tessere di puzzle che si aggregano in un rettangolo finale – nel quale però manca una tessera – e su cui domina la scritta “Missing Everything”. L’apparente aspetto ludico di questi lavori, dai cromatismi piacevoli, si carica di un messaggio profondo, esistenziale, velatamente tragico: “un’insoddisfazione, la sensazione che ci manchi qualcosa senza sapere bene cosa”. La frase lapidaria “Missing Everything” è scritta con vernice spray evocando gesti e concetti del graffitismo urbano, nato, nelle genuinità delle intenzioni originarie, come moto di protesta e urgenza sociale.

Fragmenta, CS, 2024.pdf
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Fragmenta, PRESS RELEASE, 2024.pdf
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