Con la curatela del critico internazionale Nicolas Bourriaud,
M77 presenta una mostra dedicata al “padre” della “Mec-Art”
Dal 10 giugno al 27 settembre 2025, Milano
La singolarità e l’affermazione di un universo individuale, per rispondere all’omologazione della comunicazione e del consumo di massa, caratteristici della Pop Art americana: tanto visionario, quanto attuale, il Manifesto della Mec-Art (“arte meccanica”) – termine coniato dal critico d’arte francese Pierre Restany nel 1965 - ha definito un nuovo linguaggio nel mondo dell’arte magistralmente rappresentato dal lavoro di Gianni Bertini tra gli anni 1965-1970. Il “nucleo estetico” di questa produzione - il suo periodo Mec-Art, appunto – sarà protagonista della mostra “Gianni Bertini: Manifesto Meccanico”, curata dal critico Nicolas Bourriaud.
In programma dal 10 giugno al 27 settembre 2025 negli spazi in via Mecenate di M77 – realtà milanese di respiro internazionale nel panorama della scena artistica contemporanea – l’esposizione presenta oltre 50 opere che raccontano una cifra stilistica basata su tecniche di stampa e riproduzione meccanica: l’artista si appropria della fotografia sostituendola ai suoi pennelli e alla sua tavolozza e controlla ciascuna fase dell’elaborazione meccanica dell’immagine per condizionarne la struttura stessa. Riportate su tela emulsionata, cartoncino o metallo, e poi prodotte in chiave pittorica con olio, tempere e collage, le immagini presentano così un nuovo significato reinterpretando la realtà e i miti del nostro tempo.
“Bertini – spiega il curatore della mostra Nicolas Bourriaud - riusciva a mescolare incidenti stradali e scene di spiaggia, mitologia greco-romana e ingranaggi delle macchine: qualsiasi soggetto poteva essere "bertinizzato". Già dai suoi esordi, Bertini dichiarava di essere interessato agli "eventi cosmici, siderali, scientifici o meccanici", e rimase fedele a questa combinazione per tutta la vita. Cosmo e meccanica: tutta la sua opera sembra contenuta tra questi due termini. Di fronte alla comunicazione di massa, Bertini rispose con la singolarità, l'aneddoto, l'affermazione del suo universo personale, attraverso uno stile e un metodo che mantenevano un legame stretto con le tecniche di montaggio sviluppate dalle avanguardie”.
La mostra, nel segno del progetto estetico di Bertini - si sviluppa in due direzioni temporali, che partono dal nucleo degli anni 1965-1970, andando verso i precedenti del passato e quelli indagando poi quelli successivi al periodo.
Le opere, riconducono ai mondi indagati da Bertini: dalle più meccaniche, come le onomatopeiche “Grip” e “Splack” di derivazione futurista; alle concettuali, come “Ascensione cosmica”; fino al rimando alla mitologia classica con lavori di contaminazione come “Venere a idrogeno”, “Melegre e il cinghiale” e “La tela di Penelope”.